La “Giornata internazionale per i diritti delle donne” rappresenta un’occasione per attribuire la giusta attenzione ad un fenomeno che coinvolge tante lavoratrici nel mondo.
Stiamo parlando del gender pay gap, cioè quel divario retributivo lordo tra uomini e donne a parità di ruolo e mansione.

Infatti, tra i Paesi UE, le lavoratrici guadagnano in media circa il 13% in meno all’ora rispetto alla controparte maschile. Tale percentuale prende in considerazione, però, esclusivamente il salario orario medio, senza analizzare i dati in rapporto ad altri rilevanti fattori che potrebbero meglio definire le motivazioni e i punti critici del fenomeno. In effetti, le statistiche considerano i redditi percepiti senza tenere conto del settore produttivo, del profilo professionale e del livello d’istruzione dei lavoratori, aspetti sui quali persistono nette differenze tra uomini e donne e che risultano di conseguenza cruciali per il calcolo del gender pay gap.

Le implicazioni pratiche del divario retributivo di genere

Statisticamente, la donna percepisce un salario più modesto rispetto all’uomo, perché lavora un numero di ore inferiore. Dunque, all’aumentare del periodo considerato per il calcolo del divario retributivo, aumentano anche le differenze fra donne e uomini. È evidente la tendenza femminile ad accettare impieghi part-time per farsi carico delle responsabilità familiari, spesso, motivo della totale interruzione del rapporto di lavoro.

È emblematico pensare che a volte alle sole donne venga domandato, in sede di colloquio e nella vita privata, se riusciranno a bilanciare adeguatamente la loro carriera e il loro essere madre ed eventualmente anche moglie. Dubbio che, invece, per gli uomini non si pone quasi mai.

Altro elemento che incide sul gender pay gap è la scarsa presenza femminile in posizioni apicali, di fatto le donne sono tuttora relegate in lavori non retribuiti, come quelli domestici, o inquadrate in settori caratterizzati tipicamente da salari bassi e benefici scarsi o nulli, come le attività di assistenza.

Tale fenomeno è definito segregazione occupazionale ed indica la massiccia presenza di donne in pochi settori produttivi fortemente femminilizzati e caratterizzati, solitamente, da un basso livello di responsabilità, scarse possibilità di crescita e retribuzioni mediocri, generando così una sproporzionata distribuzione della forza lavoro femminile. In genere viene anche utilizzata l’espressione inglese “glass ceiling”, letteralmente “soffitto di vetro” che metaforicamente rappresenta la barriera frapposta tra le donne e l’avanzamento di carriera.

La situazione attuale spiegata in dati percentuali

Il gender pay gap si presenta come un problema multifattoriale che si traduce non soltanto in una minore retribuzione per le donne, ma in altre numerose forme di discriminazione che determinano una diminuzione delle opportunità lavorative ed inficiano l’avanzamento professionale. Oltre all’evidente divario retributivo, quindi, è bene considerare anche altri dati come il tasso di occupazione: secondo i dati Istat, nel 2023, il tasso di occupazione femminile è aumentato dell’1,2% rispetto all’anno precedente, arrivando al 52,6% per le donne tra i 15 e i 64 anni, a fronte, però, del 70,8% per gli uomini.

Significative differenze in termini di occupazione si riscontrano anche in Europa, con circa il 67% di lavoratrici contro il 78,5% di lavoratori. Altro dato da attenzionare è la percentuale di donne in posizioni apicali che in Europa corrisponde appena all’8%, con un divario retributivo di genere del 23%.

Gender pay gap: quali soluzioni dall’alto?

Come visto, le possibili cause del fenomeno in analisi sono molteplici, ma tutte hanno un denominatore comune, ovvero la persistenza di stereotipi e bias tipici della cultura patriarcale. Questi fanno pagare alle donne lo scotto del loro genere, relegandole a ruoli di cura e accudimento, limitando così le loro possibilità di crescita lavorativa.

Considerando la portata del fenomeno e le sue implicazioni non solo sociali, ma anche economiche, il superamento del divario retributivo tra uomini e donne è un obiettivo posto nell’Agenda 2023 dell’ONU ed è uno dei punti nevralgici degli interventi delle Istituzioni nazionali, comunitarie e internazionali. Sul tema si segnala la recente Direttiva europea n. 2023/970 volta a rafforzare l’applicazione e l’effettività del principio della parità retributiva tra uomini e donne, vietando, innanzitutto, discriminazioni dirette o indirette sulla base del genere e imponendo una maggiore trasparenza dei sistemi retributivi. È inoltre stato introdotto dal Forum economico mondiale il Global Gender Gap Report, uno strumento che permette di analizzare l’evoluzione del divario di genere a livello internazionale basandosi su quattro criteri chiave: opportunità economiche, istruzione, salute, ed emancipazione politica.

Secondo l’attuale punteggio globale e tenuto conto del ritmo di avanzamento dei 146 Paesi analizzati, ci vorranno 131 anni per raggiungere la piena parità, obiettivo che, per adesso, non è stato raggiunto in nessuno Stato.

Le azioni autonome private contro il gender pay gap

Oltre a tali interventi, per garantire la parità di genere in ambito lavorativo, non si può prescindere dalle implicazioni dei ruoli e stereotipi di genere prima ricordati, infatti, per eliminare gli ostacoli che impediscono alle donne di partecipare e affermarsi nel mondo del lavoro sono essenziali azioni concrete, come ad esempio:

  • Attuare politiche per conciliare la vita privata e lavorativa, prevedendo lo smart working e orari flessibili;
  • Concedere congedi parentali adeguati e di pari durata per uomini e donne, evitando così a quest’ultime di farsi interamente carico delle responsabilità legate alla cura dei figli;
  • Prevedere misure welfare come gli asili aziendali che permettano alle lavoratrici madri di non rinunciare in tutto o in parte alla carriera;
  • Sensibilizzare sui temi legati alla gender equality per accelerare il superamento degli stereotipi di genere.

L’esempio di Magister Group

Concludiamo facendo luce sulla nostra Società, la quale ha recentemente ricevuto la Certificazione UNI\PdR 125:2022 per la Parità di Genere.
Questo testimonia una cultura aziendale basata sulle pari opportunità e sulla meritocrazia.

In Magister Group, la popolazione aziendale è composta al 70% da donne. Anche le figure manageriali mostrano una maggioranza femminile, con delle retribuzioni parametrate su criteri oggettivi e su KPI, certamente non sul genere.

In tema di conciliazione tra lavoro e vita privata, siamo il primo Gruppo italiano ad aver introdotto la settimana lavorativa corta, a parità di condizioni retributive. Questa misura vuole migliorare la condizione privata di qualsiasi risorsa, ma assume un significato ancora più ampio nella riduzione dei divari descritti sinora.

Credo fortemente nell’idea che una donna non porti in azienda la sua femminilità, né una tendenza all’accudimento e nemmeno un dovere di maggior empatia. Una donna porta in azienda sé stessa, con la forza, le qualità e anche le imperfezioni che caratterizzano qualsiasi essere umano.

I numeri sono dalla nostra parte: un fatturato in continuo aumento, risultato soprattutto di una grande maggioranza di donne ambiziose che in questa realtà stanno trovando le giuste possibilità di crescita.

Vogliamo che questa sia la nostra risposta ottimista, consapevoli che vi sia ancora tanto da fare, per raggiungere una condizione di uguaglianza nel lavoro.

 

A cura di Francesco Briamonte.